La vita è complessa. Ci pone degli ostacoli che possono sembrare
insormontabili. A volte la nostra stessa vita, quella che abbiamo voluto e
desiderato tanto, quella per cui abbiamo lavorato, può sembrarci una prigione. O
forse siamo noi a rendere la nostra vita una prigione. A volte facciamo scelte
sbagliate oppure commettiamo azioni di cui ci rendiamo conto solo dopo del loro
peso. E se ci trovassimo di fronte un bivio e non sapessimo che direzione
prendere? Se avessimo di fronte la scelta della vita che potremmo avere e la
scelta di continuare la vita che si sta conducendo fino a quel momento, che
cosa sceglieremmo? A volte le decisioni più ovvie sono quelle più difficili da
prendere.
Questo è il tema del film di oggi “The good girl” del 2002 di Miguel
Arteta. Un film drammatico, intenso, in cui non ci si può non
immedesimare in alcune parti. Questa insolita commedia a sfondo drammatico, è
interpretata da una Jennifer Aniston
insolita, innovativa nel ruolo di Justine.
Chi è Justine? E’, donna trentenne
che ha già alle spalle un matrimonio difficile per la mancanza di dialogo con
il marito Phil, un desiderio di
maternità che non riesce a realizzare, ponendola così davanti ad una crisi
esistenziale. E proprio in questa crisi smette di essere “la brava ragazza” che tutti le riconoscono. Rompe i suoi schemi,
rompe la sua routine ma per cosa? Per l’ebbrezza della libertà di vivere alla
giornata o per liberarsi dei problemi che sono per lei insormontabili? Non posso darvi la risposta perché svelerei tutto il film. Ma posso dire
questo: a volte, ciò che reputiamo noioso, stantio, troppo ordinario non è poi
così sbagliato. A volte la vita che vorremmo non coincide con quella che
viviamo, perché abbiamo in testa davvero un film. Arriva la realtà che muta
questo aspetto e allora vediamo tutto da un’altra prospettiva. Più traumatico è
accettare questa nuova prospettiva, possiamo accettarla inizialmente ma viverla
e, quindi accettarla in pieno, è più complesso. Non è semplice vivere l’ordinario.
Come non è semplice vivere perennemente nella fantasia. Holden, il personaggio cooprotagonista interpretato da un bravo Jake Gyllenhaal, non accetta la realtà. E’
un bambino nel corpo di un adulto, che vede Justine
come donna della sua vita ma anche la donna che può curarlo, accudirlo,
capirlo. Ha creato un mondo fantastico a tal punto da rifiutarsi di vivere
nella realtà, e chi non accetta questo suo mondo lo reputa un nemico, un
qualcuno cui trasmettere la propria rabbia e frustrazione.
La trama: Justine (Jennifer Aniston) è una
donna trentenne, sposata con Phil (John C. Reilly) e lavora
in un grande magazzino. La donna è in un momento particolare, comincia a non
sopportare la sua routine. Gran parte della responsabilità la dà a Phil, che
reputa colpevole di non riuscire a metterla incinta perché passa il tempo con l’amico
Bubba
(Tim
Blake) a bere birra e a fumare spinelli. Tutto diventa inaspettato con
l’arrivo di Thomas Worther detto Holden (Jake Gyllenhaal), come l’eroe
del suo libro preferito che si porta sempre dietro. Holden ha un debole per
Justine che non esita a mostrare. Justine va in crisi quando Holden si dichiara
a lei e la sua amica e collega muore improvvisamente per aver mangiato delle
more. Justine comincerà a rompere gli schemi, a non essere più “la brava ragazza” che tutti reputano che
lei sia. Ma ciò fin dove la porterà? E’ davvero ciò che vuole?
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